Entro in uno spazio grigio senza estetica e senza architettura, una grande stanza. Quello che noto subito è l’assenza e un gran disordine color nulla, i miei occhi fanno fatica nella messa a fuoco, sono confusa. Ho il cuore gelato e cerco, per attimi indefiniti, di capire se è la luce al neon o sono i tavolacci con grovigli di cotone che assume le forme più strambe ad infastidirmi di più.

Uno store di 3 piani e svariati migliaia di mq a Milano, nella strada più commerciale e affollata del quadrilatero ed uno nella capitale. Circa tre mesi prima il gruppo chiude circa 200 negozi negli Stati Uniti, com’è possibile? E’ notizia di qualche settimana fa: il marchio nel mese di ottobre ha subito un’ulteriore contrazione (circa il -4%) sulle vendite globali, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, in ottobre solo Banana Republic, marchio dello stesso gruppo, mette a segno un misero +1%. Leggendo le notizie in cronologia è spaventosamente goffo il tentativo dell’azienda di cavarsi fuori dagli impicci. Scena 1: aprile 2011 rubizze e corpulente signore inglesi si ribellano agli specchi dimagranti. Si scopre che in alcuni negozi inglesi del brand erano montati dei “magic mirror” che rendevano tutte snelle e affascinanti salvo poi una volta tornate a casa rendersi conto che i rotolini (o rotoloni!) erano sempre lì. Conseguenza: donne incazzate come api. Lo sanno tutti, mai mettersi contro una donna e i sui chili!
Scena 2: a pochi giorni di distanza dall’accaduto, Gap decide di fare una mossa che suona più come un harakiri che una strategia di marketing, propone promozioni negoziabili; in concreto vende online i suoi pantaloni attraverso una sorta di asta. Con la conseguenza di un euforico picco momentaneo e di una “bad reputation” ben più duratura, dovuta alla svalutazione del brand sui mercati. Scena 3: Circa un mese dopo (maggio 2011) la quotazione borsistica del marchio subisce un’inflessione talmente importante ed improvvisa da meritarsi una sanzione dai palazzoni di Wall Street; parrebbe che l’azienda abbia sottostimato l'impatto delle variazioni del prezzo del cotone sulla sua attività. C’è da interrogarsi di chi e come guidi una multinazionale da miliardi di euro. Se non sai in che modo fluttua la materia prima necessaria alla produzione, vai a smacchiare giaguari o a ad asciugare gli scogli…lì potresti essere più utile!
Vero è che la crisi globale è stata una mazzata tremenda per tutte le aziende; certamente perché imprevista, ma soprattutto per l’improvvisa impennata dei prezzi usati come scudi dai produttori per non essere fagocitati da un tourbillon di debiti. Comunque sia la cara vecchia Europa è sempre un banco di prova molto duro per il fashion, soprattutto quando moda non fa rima né con gusto né con qualità.