lunedì 30 gennaio 2012

Saldi, ansia da prestazione...


Questa è una strana città. Vai in centro di sabato pomeriggio e guardandoti attorno non riesci a focalizzare nulla; davanti a te una massa indistinta di carne tremolante e sudaticcia trasforma il tuo sport preferito nel peggiore degli incubi. Questo è lo scenario che puntualmente si staglia dinanzi ai tuoi occhi innocenti ogni volta che c’è il primo giorno di saldi.
Mestamente ti dirigi verso questo fiume in piena, con la paura nello sguardo cerchi di farti largo per raggiungere una vetrina…mai idea fu più sbagliata. Ti trascinano e non ti lasciano scampo, ti costringono a entrare dove proprio non vorresti, nel low cost fast fashion che più low e più fast non si può. Te ne fai una ragione e tra commesse infuriate e avventrici assatanate non riesci a ragionare. La testa rimbomba, le gambe si fanno pesanti e passi circa mezz’ora davanti allo stesso capetto in acrilico dal colore fluo che, al 99,9% non indosserai mai, ma fa tanto ragazza della grande metropoli e non tradirà le tue origini. Quindi? Ovviamente lo acquisti, che domande! D’altronde hai avuto mezz’ora per analizzare quell’0,1% di possibilità di indossarlo:
1. quando darai (forse) una fighissima festa anni ’80
poi quando…mmmmmmm….(aspetta c’erano almeno altre tre occasioni in cui l’avresti potuto sfoggiare)…
2. ad una serata al Plastic
eeeeeeee poiiiiiiiii…..mmmmmmm…Va be dai ma tanto poi sdrammatizzato si può mettere altre mille volte! SDRAMMATIZZATOOO??? Ma come fai a “sdrammatizzare” una pezza fluorescente che urla chiaramente da tutte le trame (se ne ha!) del suo 100% acrilico: “ma che diavolo ti sei buttata addosso?”???
Cerchi di giustificare goffamente il tuo gesto totalmente irrazionale con la scusa che l’hai pagato due soldi.
Ti ritrovi in strada in maniche di maglietta, nonostante i -10°, e solo la sostanziosa e imbarazzante peluria delle tue braccia color latte ti spinge a indossare nuovamente il pullover. Ti fai coraggio e cammini decisa, certa che lì fuori c’è ancora un’occasionissima  che ti aspetta e non sarai certo tu, vecchia volpe da shopping, a fartela sfuggire! Continui il tuo giro ma questa volta alzi il tiro ed entri in una catena comunque fast ma meno low.  Appena entri, ti dirigi verso la parte dello store che pare “meno battuta”, intenta a tirar giù l’impossibile da uno stand ti accorgi che la signora che ti è affianco si è appena accasciata al suolo. Ecco lo sapevo la “sciura” co’ sto caldo è venuta meno! Mentre cerchi di chiamare il 118 e t'immagini già su un’ambulanza a sirene spiegate, noti che la signora ha degli spasmi. La situazione si complica e tu ti avvicini per cercare di darle un primo soccorso; nell’avvicinarti ti rendi conto  che stringe una tacco 12 tra le mani, non la molla! “Signorina mi dia una mano, presto, non riesco proprio a farla entrare!” ti urla in faccia, “Sarà perché è un paio di numeri in meno del mio?”, ti chiede. Sei lì immobile, attonita. Il sudore freddo della paura, che fino a un minuto prima ti perlava la fronte, si trasforma in una vampata di calore rabbioso. Le scippi le scarpe dalle grinfie e fuggi, fuggi verso una cassa stranamente deserta. Paghi e scappi. Ti guardi continuamente alle spalle per il timore che la mefistofelica sia riuscita a individuarti tra la folla, nonostante la tua camaleontica mimetizzazione. Ti sembra di essere in salvo una volta conquistato il portone di casa, ma anche lì non è che ti senta tanto al sicuro, d’altronde si sa le shopaholic sono tremende… no?

lunedì 28 novembre 2011

Gap: cronologia di un tracollo

Entro in uno spazio grigio senza estetica e senza architettura, una grande stanza. Quello che noto subito è l’assenza e un gran disordine color nulla, i miei occhi fanno fatica nella messa a fuoco, sono confusa. Ho il cuore gelato e cerco, per attimi indefiniti, di capire se è la luce al neon o sono i tavolacci con grovigli di cotone che assume le forme più strambe ad infastidirmi di più.
Mi trovo nello store Gap di Milano. Un antico detto recita: Il desiderio fa parer bello quel che è brutto”, in altre parole fino a quando Gap era confinata nei miei (o negli altrui) viaggi oltreoceano andava più che bene.  La felpa con il marchio ben in vista era la prima richiesta a un amico che partiva, oggi che è a due passi da casa non ha più lo stesso gusto. Inaugura l’apertura italiana  con una capsule collection firmata Valentino, ed ecco la prima delusione. Una serie di capi assolutamente insulsi di cui ricordo in modo distinto solo una serie di eskimo di cotone in verde militare declinato in tre versioni, talmente brutte da essere arrivate ai saldi e lo sa anche un bambino che se una collezione limitata arriva al giorno dopo la presentazione e qualche ragazzina non ha cercato piangendo di convincere la commessa esasperata a smontare la vetrina con l’ultima xxxxxxs rimasta, vuol dire che gli anni di università che ti hanno portato ai vertici del marketing di una multinazionale sono stati del tutto vani (se non per qualche simpatica bevuta con i compagni di studi…). 
Uno store di 3 piani e svariati migliaia di mq a Milano, nella strada più commerciale e affollata del quadrilatero ed uno nella capitale. Circa tre mesi prima il gruppo chiude circa 200 negozi negli Stati Uniti, com’è possibile? E’ notizia di qualche settimana fa: il marchio nel mese di ottobre ha subito un’ulteriore contrazione (circa il -4%) sulle vendite globali, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, in ottobre solo Banana Republic, marchio dello stesso gruppo, mette a segno un misero +1%. Leggendo le notizie in cronologia è spaventosamente goffo il tentativo dell’azienda di cavarsi fuori dagli impicci. Scena 1: aprile 2011 rubizze e corpulente signore inglesi si ribellano agli specchi dimagranti. Si scopre che in alcuni negozi inglesi del brand erano montati dei “magic mirror” che rendevano tutte snelle e affascinanti salvo poi una volta tornate a casa rendersi conto che i rotolini (o rotoloni!) erano sempre lì. Conseguenza: donne incazzate come api. Lo sanno tutti, mai mettersi contro una donna e i sui chili!
Scena 2: a pochi giorni di distanza dall’accaduto, Gap decide di fare una mossa che suona più come un harakiri che una strategia di marketing, propone promozioni negoziabili; in concreto vende online i suoi pantaloni attraverso una sorta di asta. Con la conseguenza di un euforico picco momentaneo e di una “bad reputation” ben più duratura, dovuta alla svalutazione del brand sui mercati. Scena 3: Circa un mese dopo (maggio 2011) la quotazione borsistica del marchio subisce un’inflessione talmente importante ed improvvisa da meritarsi una sanzione dai palazzoni di Wall Street; parrebbe che l’azienda abbia sottostimato l'impatto delle variazioni del prezzo del cotone sulla sua attività. C’è da interrogarsi di chi e come guidi una multinazionale da miliardi di euro. Se non sai in che modo fluttua la materia prima necessaria alla produzione, vai a smacchiare giaguari o a ad asciugare gli scogli…lì potresti essere più utile!
Vero è che la crisi globale è stata una mazzata tremenda per tutte le aziende; certamente perché imprevista, ma soprattutto per l’improvvisa impennata dei prezzi usati come scudi dai produttori per non essere fagocitati da un tourbillon di debiti. Comunque sia la cara vecchia Europa è sempre un banco di prova molto duro per il fashion, soprattutto quando moda non fa rima né con gusto né con qualità.


lunedì 24 ottobre 2011

Cara Miuccia, questa volta hai toppato!

Hai abitato in silenzio, ma con la classe che ti contraddistingue, ogni angolo dei miei armadi; oggi mi deludi e mortifichi ogni mia velleità. Un sodalizio, il nostro, che dura da una vita sempre fianco a fianco fiere l’una dell’altra (forse più io di te…) una strada comune, senza mai un dissenso. Oggi mi vedo costretta a interrompere questa liaison, con immenso dolore, ma devo. Da quando è venuta alla luce la tua assolutamente inattesa “nuova natura”, non ti riconosco più. Questo tuo virare sul rockabilly style mi disorienta e fa perdere aderenza alla mia stima nei tuoi confronti, proprio come vanno fuori strada le auto fiammanti disegnate sulle tue gonne S/S 2012. Hai sbandato. Hai voluto rischiare, ma non come rischiano tutti i grandi creativi, hai rischiato senza creare. Quelle spalle esageratamente sciancrate fino al punto di trasformare ogni donna, quelle gonne di pelle a-formi con applicate Cadillac fiammanti, quegli stivali con una punta a dir poco impertinente e quei fregi sul gambale degni della più scontata e carnascialesca Calamity Jane.
Tu che hai sempre creato, per la stagione che verrà, hai distrutto. Facendo da sempre del minimalismo e del buon gusto una questione di vita e di morte hai ridato fierezza alle donne, le hai messe dove dovrebbero stare: su un piedistallo, ora non puoi ricacciarci da dove ci avevi pescato.
I colori, lo ammetto, fanno fede alla parola data -sono quelli- almeno una certezza ce la siamo guadagnata, ma tutto il resto traballa come le tue modelle su quelle pumps con il tubo di scappamento nel tacco. Così, solo per stupire.
Devo tuttavia ammettere che la preziosità dei soprabiti si respira già adesso, ad anni luce dal vederli dal vivo (primavera 2012), il lavorio minuzioso s’intuisce già solo ad una prima fugace occhiata; la maniacalità dei dettagli, che tanto mi hanno fatto appassionare, si legge chiaramente in queste (si!) creazioni adatte a una donna sofisticata. Siamo tutte a fremere per sapere e imparare, stagione dopo stagione, su cosa/come/quando. Ci hai tolto le calze a dicembre e messo i sandali a - 7°, ci hai suggerito un corpo complètement couvert a luglio e noi abbiamo diligentemente eseguito, ma non andare troppo oltre! Hai proposto un pack work provenzale per abiti e spolverini che nemmeno sul letto della casa di montagna insieme alla testa d’alce... immagino che nessuna signora starà lì a sfregarsi le mani attendendo la TUA primavera 2012.
Ti salvo il cappottino sfoderato in shantung scollato in modo delizioso e il vestito/gonna di pari fattezze con il macro punto smock, che rispecchiano l’antica sartorialità della maison; non in virtù della nostra antica “amicizia”, ma perché ne sono sinceramente sollevata. La presenza di 5-6 elementi da salvare per ogni collezione è curativa per il mio cuore ferito che nutre ancora speranza.
Va bene, non ci buttiamo giù da qui alla prossima primavera c’è ancora margine: su Miuccia cara, aggiusta il tiro!




martedì 18 ottobre 2011

Perché Levi’s non punta sullo shop online




Il jeans è una questione importante. Vitale, direi. Il jeans non è un acquisto da far a cuor leggero, è qualcosa che mette in gioco una serie di variabili importanti: sentimento, ribellione, irragionevolezza. Nell’armadio di una donna solitamente ci sono due tipologie di jeans: quelli che indossi solo per stare in piedi, e quelli con i quali potresti pensare anche di sederti. Se trovi il jeans giusto, hai trovato l’Eldorado. A me è capitato una volta sola, nel 2004, l’ho usato fino a che mi si è sbrindellato addosso, letteralmente!

L’utilità del jeans è ovvia: via la bilancia, sdraiati sul letto e prova i tuoi jeans preferiti. Se ti entrano senza sudare troppo, vuol dire che sei ancora una gran...

I più famosi, quelli che davvero abbiamo abitato un po’ tutti, sono i Levi Strauss, azienda americana, ma con genio storicamente europeo. Il gruppo californiano nel 2010 ha visto aumentare, nel Vecchio Continente, le proprie vendite di circa il 6%,vale a dire quasi 200 milioni di euro.

Cliccando su http://eu.levi.com/it_IT/index.html ci si ritrova nella landing page dello shop online, in primo piano un bannerone che inneggia a riprendere in mano la propria vita con un: “Now is our time!”, facile e giovanilistico ma tutto sommato efficace. I soliti box dei nuovi arrivi, della campagna charity, delle varie collezioni e fin qui tutto regolare. La vera novità è la linea Curve ID perché trovare il jeans della vita, come recita il claim: “E’ una questione di forma, non di taglia”. La call to action ti spinge a compilare un form per scoprire la tua Curve ID. Prendi le tue misure, (dalla schermata ti viene suggerito caldamente di farlo a casa, peccato! Pensavo di prendere un metro dalla borsa e di misurare le mie rotondità tra il collega, la scrivania e l’amministratore delegato, ma ti pareee???) le inserisci nel form ed il sistema ti dirà qual è il modello più adatto alle tue curve. Qui viene il bello. Una volta scoperto il tuo “curve profile” ti suggeriscono di prenotare una prova in negozio, colpo di scena. Allora anche tu Levi’s, multinazionale furbetta, sai bene che nessuno mai comprerà un jeans senza poterlo provare!

La progressione di cui sopra, si spiega con il lancio di Denizen -nuovo brand Levi’s- e con la performance degli outlet. Infatti, la realtà è che l'utile operativo è calato di circa il 5%, un ribasso imputabile agli investimenti nel retail e al costo delle materie prime. Da questo riusciamo facilmente a intuire che per Levi’s lo shop online è una scelta quasi obbligata per stare sul pezzo, come si dice, ma non è di certo l’escamotage su cui puntare per ottenere performance importanti. Comunque la jeanseria d’oltreoceano non rimarrà certo in braghe di tela …ops di jeans.

Ora vi dico io perché per acquistare un jeans è importante farsi prima due passi in camerino:

Il tuo jeans è fatto di concerti, di serate sulla sabbia bagnata sotto un cielo di stelle, di vacanze, di bagni di notte ad agosto, è fatto di baci sulle panchine, di pomeriggi in bicicletta, di corse in motorino per arrivare puntuali a scuola, lo usi quando fa freddo-freddo e caldo-caldo. E’ fatto di lacrime, di sudore delle mani quando incontri il tipo/la tipa che ti fa perdere la testa, è fatto di musica e di vita, di ciccia e di dieta. Tu cambi, lui no. Forse è per questo che lo abbiamo tutti eletto oggetto feticcio. Pare che le nostre vite intere siano dolcemente imprigionate nelle sue spesse trame, a furia di lavaggi le storie rimangono sempre lì. Ogni piccola usura, ogni piccolo strappo, lo rendono ancor più speciale, più importante. In un mondo che richiede a gran voce di essere smart, flessibili, veloci e di non lasciare traccia di quello che davvero si è, sentiamo ancor più forte l’urgenza di imprimere in un oggetto la nostra vita, le nostre esperienze.

E’ per questo motivo che il jeans è intramontabile; è la nostra memoria storica.

E’ per questo motivo che l’apparenza è importante, ma la sostanza ancor di più.